Léa dedicata a Chéri, di Colette

lunedì 17 maggio 2010

Alla latteria del gatto nero, di I. Borghese



Alla Latteria del gatto nero*
Isabella Borghese
a Raul Montanari, con l’amore che sa il suo cavaliere

*ricordando un locale di Calcata

La prima volta che ho visto Eva era mascherata da indiana. Le frange della gonna oscillavano a terminare appena sotto le chiappe… Che culo!, ha elaborato la mia testa. La seconda invece eravamo all’Old bear, non lontani dal Palazzaccio. Una cena di compleanno. Piero compiva trentasette anni. Eva era seduta proprio di fronte a me. Indossava un vestitino, fuori moda, direi, ma delizioso, né corto né lungo… e mi guardava in quel modo… arrapante!, sì, arrapante! Questa stasera me la sbatto!, mi son detto a quella cena.
Ma Eva mi ha dato buca e l’ha fatto prima ancora di permettermi di provarci.
La terza volta l’ho incontrata per caso. Era così deliziosa con quel basco verde, il carrello della spesa, un abito che sembrava così poco adatto per il mercato e quei rimasugli di trucco della notte andata. Ti va una serata insieme?, le ho proposto. Un concerto o una cena?… Una cena!, sì, mi rispondeva lei mentre abbassava lo sguardo e sistemava le ruote del carrello che appesantito dalla spesa sembrava non potersi mantenere dritto.

A quella nostra prima cena, forse perché è stata la prima volta che io e Eva siamo stati a contatto da soli, voce a voce, sguardo a sguardo, corpo a corpo, Eva è riuscita a convincermi che oltre ad essere arrapante e regalare alla mia vista un gran bel culo possedeva ben altro.
Dei gatti, per esempio.
E un fare bizzarro che mi incuriosiva, anche questo.
Eva infatti era riuscita a intrattenermi per l’intera cena raccontandomi di Kit il certosino che portava il nome del gatto di Colette, di Ciprincolta, nome consigliato da Elliot. E poi c’era Paul. Che razza di nome per un gatto!, pensavo. Ma non ho mai saputo a chi Eva
avesse rubato il suo nome.
Io del resto sono un uomo. Gli uomini i gatti li chiamano come i supereroi o i personaggi dei fumetti, al limite. Infatti il mio amico Lajos aveva Zanardi, Colasanti e Petrilli, i gatti di Andrea Pazienza, peraltro.
A Eva ho tentato di chiederglielo, più di una volta, ma Sai, ci sono cose della mia vita, mi diceva, che son solo mie.
Paul mi, spiegava lei, candida, sincera e serena, è roba mia e basta.
E io me ne stavo zitto a sentire le sue verità. Paul è un nome che ha il sapore di un uomo, ne ero convinto e così lasciavo cadere la conversazione.
E lei mi sorrideva. E io le sorridevo.
E poi mi guardava in silenzio. E io rispondevo con il mio di silenzio.
E poi mi baciava. E io mi attizzavo.
Ma lei riprendeva in mano la situazione.
Cosa fai nella vita?, sembrava curiosa. Le raccontavo di essere uno scrittore. Sì, Eva, certo, ho pubblicato pochi romanzi, con piccoli editori. Riprendevo fiato, Solo due per l’esattezza: Vita da leoni, Storie di un uomo che va a diesel e Di notte a Muccassassina. Di giorno in Chiesa. Stavo lavorando sulla doppia vita di un prete, all’epoca.
Lei cambiava d’improvviso espressione, Non chiedermi mai di leggere i tuoi libri, puntualizzava. Io non leggo più niente. Non leggi più niente? NI-E-NTE! Zero! Neanche le notizie del giornale online. Per queste ascolto la radio e basta.
Non mi aveva detto nulla di più in merito. Mi sembrava evidente che anche questa storia doveva essere ‘una roba sua e basta’.
Eva invece era la grafica di una tipografia, ma lavorava per lo più da casa.
Da quel bacio al ristorante ne è nata una bella scopata se non fosse stata interrotta da un
Senti Leo, io con gli scrittori non voglio avere proprio nulla a che fare. È l’ultima notte che ci vediamo.
Ma mi aveva chiamato Leo, con un tono sussurrato, gentile, anche intimo direi. Un tono e una confidenza che non sembrava di certo essere in linea con la distanza che le sue parole volevano mettere tra noi.
Eva era quella del, Sai… senti… cosa fai… non mi chiamava mai per nome, per questo quel Leo non poteva passare inosservato.
E infatti di lì a poco Eva, Kit, Ciprincolta e Paul si trasferivano a casa mia.
Io continuavo a scrivere spingendomi di notte in quei locali dove è più semplice imbattersi in conoscenze promiscue. Mi era necessario per la narrazione. Eva non mi seguiva mai. Io la volevo portare con me per dimostrarle che mi recavo lì senza vizietti né malizia… ma lei aveva sempre le sue cose da sbrigare e da fare. Mi diceva ogni volta, Dài, una sera ti porto a cena alla Latteria del gatto nero, a Calcata. Vai pure da solo o con i tuoi amici in quei posti. Io resto con Paul, Kit e Ciprincolta, ho il mio lavoro da sbrigare. E il dopocena con le amiche.
Di notte in quel periodo scivolavo dunque dentro cabine rosse che mostravano luci soffuse, rotoli di carta igienica appesi e odore di sesso stantìo. Caracollavo dalla sala bar, a quella buia illuminata solo dalle sigarette facendo finta di cercare, o forse di aspettare semplicemente la persona che più si adattasse al mio desiderio attuale. Poi mi fermavo davanti al maxi schermo. E lì restavo sul pornazzo di turno quasi a voler mostrare un puro interesse.
Poi me ne andavo e immaginavo che agli occhi degli altri non potessi essere altro che un voyeur. Mi andava bene così tutto sommato.
Una tipa me la sarei pure sbattuta inciampando nel fascino del non saperle attribuire un’identità precisa. Mi sembrava tra l’altro un ottimo incipit per rivedere la mia storia.
Ma in quel periodo rimaneva un desiderio col nome di “sfizio”.
Rientravo a casa sempre dopo le quattro e Eva sembrava fregarsene. La trovavo sempre con la radio accesa, con Paul acciambellato accanto a lei, la tisana di finocchio, un cannetta finita o da rollare. Ben tornato!, mi diceva, con un ghigno. A volte la notte proseguiva con una scopata accompagnata da qualche pensiero “all’identità sconosciuta”. E questo pensiero aveva il pregio unico di intensificare il desiderio che avevo di sbattermi Eva, ogni notte.
Poi Paul si addormentava con noi. Tra le nostre ginocchia, sempre.
Paul, più di Kit e Ciprincolta, era davvero curioso. Lui si muoveva seguendo ovunque il passo di Eva. Mi faceva divertire molto questa faccenda. Io infatti maturavo un affetto più forte per Kit e Ciprincolta. Loro mangiavano e dormivano, niente di più. Kit si divertiva a buttare giù dalla mensola del bagno lo shampoo e il bagnoschiuma. Ma avevo memorizzato questo come un fare che mi divertiva. Mi dilettavo, infatti, a sentire i suoi movimenti, visto che quelli di Paul erano tutti per Eva.
Una mattina, mentre andavo al lavoro, la vicina di casa mi fermava così entusiasta, Ehi! Ma quando ci presentate il vostro piccolo Paul. Il fatto che la vicina pensasse che Paul fosse nostro figlio mi aveva fatto declinare la conversazione con una semplice risata e una fuga repentina. Il resto della giornata lavorativa l’avevo trascorsa depresso a rimuginare su quanto silenzio in casa ci fosse tra me e Eva e quante chiacchiere invece lei avesse da regalare al suo Paul.
Avevo d’improvviso preso coscienza del nostro rapporto così poco condiviso. Provai a parlarne quella sera, a cena, con lei.
Avevamo concluso che tra noi c’erano più silenzi che altro, più scopate che amore, più diversità che corrispondenze.
Io però l’amavo e le proponevo dunque di dedicare più tempo a noi.
Lei finalmente mi invitava a cena alla Latteria del Gatto nero per il venerdì a seguire.
Mi sembrava un ottimo modo per ricominciare.

Quel venerdì alla Latteria del gatto nero, tra polenta con le spuntature, cicoria ripassata in padella e un litro rosso della casa Eva concludeva, Dobbiamo lasciarci, sai? Ho riflettuto a lungo sulla nostra conversazione dell’altra sera. Ti voglio bene, sì, ma… non possiamo costruire cose che non ci appartengono insieme. Sai, ho pensato a quanto tu ami Kit e Ciprincolta. Anche a Paul. Direi che Paul è roba mia, sì, deve venir via con me ma, Kit e Ciprincolta, loro, se vuoi, te li regalo, sì.
Sembrava che Eva stesse spartendo i figli in base alla sua personale visione del mondo.
Io restavo basito. Dovevi portarmi alla latteria del gatto nero per lasciarmi?
Ti avevo promesso che ti ci avrei portato… quando l’avrei fatto se non oggi? Di lì a pochi giorni Eva andava via.
Col suo Paul. Per sempre.

3 commenti:

  1. Isa che stupore. Una scrittura diversa dal solito, più diretta, a volte cruda eppure descrittiva, che cesella di tanto in tanto figure immaginari e caratteri.
    Mi piace.

    ... ma poi chi è questo Paul???? :-DD

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  2. però ho il dubbio che Leo amasse più i gatti che Eva. Anzi, si fosse messo con lei per loro. E che gli resti come un dolore per essersi perso Paul....

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